Interpretazioni esemplari che hanno avuto effetti

Avvio dei lavori

«[…], è una conseguenza della popolarità dell’ascolto, un dispositivo apprezzato universalmente, ma allo stesso tempo è il contrario della psicoanalisi dato che rifiuta ogni interpretazione del soggetto[1]».

Si potrebbe esclamare un Convegno sull’interpretazione: ancora? Ancora!

J.-A. Miller ha delineato per noi il cuore della questione.
Nell’epoca dell’ascolto generalizzato è necessario sottolineare che per la psicoanalisi l’ascolto non può essere disgiunto dall’interpretazione[2].
L’interpretazione analitica è presente fin dall’esordio della psicoanalisi. L’ipotesi stessa dell’inconscio, l’inconscio freudiano, richiede l’interpretazione, a ogni passo, a ogni seduta. Proprio così, «la seduta si svolge in attesa dell’interpretazione[3]».
Ma come J.-A. Miller ha messo a fuoco è innanzitutto l’inconscio a interpretare. L’inconscio interpreta e al tempo stesso vuole essere interpretato. L’analista interpreta al suo seguito[4].
Dunque, l’analista interpreta, ma cosa può mai attendersi dal suo interpretare?
Freud ha ben delineato la questione. Infatti, la sua riflessione sulla risposta del paziente ai detti l’analista ovvero – le sue interpretazioni, o meglio le sue costruzioni – non si è fermata a prendere in considerazione la semplice espressione di un assenso o di un dissenso[5].
Si tratta quindi di considerare il materiale che l’analizzante mette a disposizione del lavoro analitico, cosa che Lacan, non ha mancato di riprendere e rilanciare: «L’interpretazione non viene messa alla prova di una verità che verrebbe decisa con un sì o con un no, essa scatena la verità in quanto tale. Essa è vera solo in quanto è veramente seguita[6]».
In sintesi, è ciò che segue all’interpretazione, quindi gli effetti, a rendere conto della sua operatività. Il titolo del nostro Convegno ha di mira proprio questo punto: esplorare il tema dell’interpretazione a partire dalla varietà dei suoi effetti.

Dunque proviamo a isolarne alcuni.

Per esempio, come non considerare i suoi effetti di sorpresa? L’interpretazione quando arriva, se arriva, sorprende. La sorpresa segna il suo istante: «Essa si rapporta a un momento disomogeneo con il resto del tempo, cioè un’interpretazione è un evento imprevisto, ma un evento imprevisto che fa parte della logica della cura[7]». Allora, se imprevista, possiamo anche attenderci che l’interpretazione possa arrivare fino al punto di produrre un certo risveglio del soggetto.

Oppure, interpretazione e rettifica. Un altro capitolo del nostro tema è quello che considera i rapporti tra la pratica interpretativa e quanto Lacan indica con il concetto di «rettificazione dei rapporti del soggetto con il reale[8]». L’argomento ha la sua ampiezza, specie se consideriamo che Miller nel 2007 non ha esitato a estendere il concetto affermando: «Io credo alla rettificazione soggettiva di cui parla Lacan nella Direzione della cura, la rettificazione soggettiva permanente, che consiste nel chiedersi qual è la responsabilità che abbiamo nella disgrazia di cui ci lamentiamo[9]». Ecco qui l’interpretazione come «un dire, [che] cambia il soggetto[10]».

O ancora, interpretazione e sintomo. Un’ulteriore gamma di effetti è quella che si raccoglie intorno alla questione della ripetizione sintomatica. Se Freud mette in luce come la libido sia «[…] legata ai sintomi, che le garantiscono l’unico soddisfacimento sostitutivo[11]», allora un effetto dell’interpretare può essere proprio il fatto di perturbare l’economia pulsionale che alimenta la ripetizione del sintomo. E più in là, di arrivare a intaccare il reale del godimento che lo sostiene.
Qui le risonanze si declinano al singolare come nel caso degli AE. Nell’esperienza di Scuola la Passe costituisce dunque il terreno privilegiato per esplorare gli effetti dell’interpretazione capace di toccare la lalingua propria di ciascun parlessere.

         Gli AE ne testimoniano e il loro dire interpreta chi li ascolta. A ciascuno i suoi effetti.

Dal sintomo all’inibizione. Sappiamo che Freud in Inibizione, sintomo e angoscia ha definito l’inibizione come la «restrizione di una funzione dell’Io[12]». In un passaggio illuminante, ha marcato la differenza rispetto al sintomo, prendendo appoggio sul caso del piccolo Hans e la sua fobia dei cavalli: «La paura incomprensibile verso i cavalli è il sintomo, l’incapacità di andare per la strada è la manifestazione inibitoria, una restrizione che l’Io s’impone[13]». Ora, in che modo l’interpretazione può agire sull’inibizione?

E poi, l’angoscia. Il rapporto tra il dire dell’analista e questo affetto che Freud considerava centrale nell’esperienza umana costituisce un argomento sempre attuale nella clinica. Chiediamoci allora con É. Laurent: Disangosciare?[14] Oppure, proviamo a formulare la domanda diversamente: in che modo l’interpretazione dell’analista opera per capitonare l’angoscia? Per arginare il suo sviluppo?

Accanto a quelle più strettamente legate alle tre forme del malessere indicate da Freud, altre questioni si aprono per l’interpretazione e i suoi effetti. Almeno due:

In primo luogo la dimensione dell’agire non può di certo mancare nella nostra riflessione. Constatiamo di continuo nella pratica clinica quanto sia cruciale la distinzione posta da Lacan tra acting out e passaggio all’atto. Come si pone allora l’interpretazione rispetto alla differente logica che presiede alla loro produzione?

In secondo luogo, il tema dell’identificazione di cui possiamo innanzitutto isolare due versanti. Il primo è quello che rileva come il discorso dell’analista, quando avanza, determina effetti di caduta dell’identificazione. Cogliamo allora la funzione che viene a svolgere l’interpretazione, e cioè il suo «ruolo disidentificante […] che punta al vuoto del soggetto e lo libera dalle identificazioni[15]».

Detto questo non dobbiamo dimenticare – il secondo versante – dove la funzione delle identificazioni risulta particolarmente compromessa, l’interpretazione può e deve operare diversamente: ovvero a sostegno di identificazioni che invece si mostrano troppo precarie.

Si potrebbe a questo punto porre l’accento su: esemplari? Esemplari!
Ma come intenderlo?

Ci sembra utile sottolineare come J.-A. Miller – riprendendo Lacan della Direzione della cura che pone l’accento: «sull’occasione unica per mostrare» –  ci suggerisce di pensare l’occasione unica come: «[…] l’antitodo a ciò che sommerge di solito la pratica analitica nella ripetizione dello stesso, che può essere formalizzata, che ha un algoritmo, una matrice. Qui si distingue l’incidente che non risponde a questa matrice, o che la valorizza e tuttavia la disgiunge dall’algoritmo. […] non si tratta di ricostituire un modello – va verso questo stile dell’occasione unica[16]».
Ecco qualcosa di attuale che incontriamo nella contemporaneità: leggere la realtà a partire da algoritmi. La pratica lacaniana e la sua trasmissione non può che opporvisi.

Non prolunghiamo oltre la nostra proposta di lavoro, sottolineando come quelli fin qui isolati siano soltanto alcuni esempi di una varietà di effetti possibili dell’interpretazione, non riducibile a qualcosa di concluso. Si tratta di alcuni spunti, che proponiamo all’elaborazione di Scuola che troverà nel XIX Convegno della SLPcf il momento in cui far precipitare il suo residuo.

Auguriamo a ciascuno e ciascuna buon lavoro!

[1] J.-A. Miller, Presentazione del n. 9 della Rivista di Psicoanalisi 15 maggio 2021Rete Lacan a-periodico online, n. 34.[2] Cfr. Op. cit.
[3] J.-A. Miller, Introduzione all’erotica del tempo, in La psicoanalisi, n. 37, Astrolabio, Roma 2005, p. 37.
[4] Cfr:, J.-A. Miller, Il rovescio dell’interpretazionein La Psicoanalisi,  n. 19, Astrolabio, Roma 1996, pp. 122-3.
[5] S. Freud, Costruzioni nell’analisi, in Opere Complete vol. 11, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 546.
[6] J. Lacan, Il seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante, Einaudi, Torino 2010, p. 7.
[7] Ivi.
[8] J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere, in Scritti, vol. II, Einaudi, Torino 2002, p. 593.
[9] J.-A. Miller, Il segreto dei lacaniani, Antigone Edizioni, Torino 2008, p. 264.
[10] J. Lacan, L’atto psicoanalitico, in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 369.
[11] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi. Lezione 28. Terapia analitica, in Opere complete vol. 8, Bollati Boringhieri, Einaudi, Torino 1989, p. 602.
[12] S. Freud, Inibizione, sintomo e angoscia, in Opere Complete vol. 10, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 239.
[13] Ibidem, p. 251.
[14] É. Laurent, Disangosciare? in Appunti, n.109, Pubblicazione della SLPcf, Anno XIII, Aprile 2005, p. 11.
[15] J.-A. Miller, La relazione del ventriloquo, in Introduzione alla clinica lacaniana, op.cit., p. 286.
[16] J.-A. Miller, Il disincanto della psicoanalisi, in La Psicoanalisi, n. 36, Astrolabio, Roma 2004, p. 228.