Partecipante SLP

Introduzione

Per me è una novità e un piacere partecipare a questa serata di Segreteria in preparazione al Convegno e partecipare con un piccolo intervento.

Ringrazio le tre funzioni della Segreteria di Pisa, che mi hanno dato la possibilità di essere qui, e la Segreteria di Rimini che mi ha aperto le porte.

Quando ho preso contatti per avere un’idea di come strutturare l’intervento, Omar Battisti mi ha dato una prima pista di lavoro: «potrebbe essere un intervento che non chiuda, ma che apra…».

Da dove partire? Da dove parlare? Cosa aprire? Mi piacerebbe condividere le piste seguite a partire da alcuni punti presi tra i testi sull’interpretazione (che si trovano on line sul sito del convegno …), messi in tensione con una domanda: l’interpretazione ha effetti di chiusura o di apertura?

Prima apertura: immagini

Parto dal titolo del convegno: Interpretazioni esemplari che hanno avuto effetti.

Aver potuto pensare insieme al gruppo creativo la locandina del Convegno è stato un lavoro divertente, omogeneo a quello al sogno, un sogno non da interpretare ma da costruire, significanti da cifrare con le immagini.

È iniziato questa estate, da un’immagine della sabbia di Rimini condivisa dai colleghi. «Potrebbe essere la locandina!» Spesso si parte così, da un primo tempo che arriva dall’altro. Il difficile è combinarlo con un’altra immagine, un secondo tempo. Condividiamo varie immagini: acqua, gocce, bagnasciuga… «Ma proprio l’effetto va messo in risalto, come si fa a farlo vedere?!», mi dico. A un certo punto capisco. La sabbia non è ciò da cui partire, ma l’effetto. Lo stato iniziale è l’asfalto. Le immagini si combinano, diventano un discorso. I granelli di parola nell’asfalto sono legati, immobili, compatti. Si arriva in analisi con una parola che può essere intrappolata in un discorso che la rende immobile. L’effetto dell’interpretazione crea una spaccatura, dà libertà a questi granelli e lascia che la sabbia esca, mobile, in un’esplosione colorata di parole nuove.

Seconda apertura: testi

Partirò da alcuni frammenti che mi hanno colpito nel testo Il rovescio dell’interpretazione di Jacques-Alain Miller: «L’interpretazione non è altro che l’inconscio, […] l’interpretazione è l’inconscio stesso […] non è di un altro ordine; si iscrive nello stesso registro»[1].

Miller ci mette in guardia dalle teorie dell’interpretazione che mettono in luce il narcisismo degli analisti e ne prende le distanze: «l’inconscio vuole essere interpretato, si offre all’interpretazione»[2]. Più avanti: «Se l’inconscio non volesse essere interpretato […] non ci sarebbe l’analista»[3]. Mi provoco: perché non è possibile fare da soli un’analisi, ciascuno alle prese con il proprio inconscio?

Mi soffermo su un’altra espressione del testo: «quando l’analista ne prende il relè […] egli cerca di far passare l’interpretazione dallo stato selvaggio, in cui essa dimostra di essere nell’inconscio, allo stato ragionato»[4].

Un relè è un interruttore elettrico che, grazie a un impulso elettrico, chiude oppure apre un circuito: funziona grazie alle variazioni di corrente che influiscono sul meccanismo di un altro circuito. Il relè non interrompe quindi il flusso di corrente, ma lo devia.

L’analista, se è nella posizione di relè, può fare segno che il circuito della parola si può deviare in un certo punto di ambiguità significante. Nell’intervento per la Rivista di Psicoanalisi in Russia, Miller fa riferimento all’interpretazione rispetto al grafo, come un segnalare al paziente: «Io ti dico che hai detto qualcos’altro da quello che volevi dire»[5].

Che cosa è lo stato “ragionato”? Non ne sono sicura, alle prese coi circuiti, mi viene in mente il grafo, alla messa in logica alle domande che il soggetto si fa rispetto al proprio essere.

Colgo il punto in cui Miller scrive «Fare risonanza, alludere, fare silenzio, fare l’oracolo […] ma chi è che lo fa? Chi lo fa meglio di voi? Chi da sempre maneggia questa retorica mentre voi vi affannate a impararne i rudimenti? Chi se non l’inconscio?»[6]. Tenere aperta la dimensione dell’enigma per mantenere il circuito aperto, affinché la parola possa circolare per «far apparire un senso nuovo»[7]. Ecco perché serve la presenza dell’analista!

Non sempre però gli effetti sono questi.

In una seduta un paziente porta un sogno: incontra il suo ex partner, lo vede e si arrabbia, vorrebbe dirgli delle cose, ma non ci riesce e si sveglia. Chiedo che cosa vorrebbe dire al suo ex e risponde con un’offesa. Ripeto questa offesa: «È così» e chiudo la seduta. Il paziente rimanda la seduta successiva. Effetto: assenza. Chiedo un controllo.

Il controllore fa notare che l’offesa era un punto importante, non tanto da sancire, quanto da interpretare! Poteva essere un’occasione per tenere aperta l’interrogazione sul proprio essere, ma “dando ragione” a quello che il paziente stava dicendo su un’altra persona avevo preso il circuito corto, il corto circuito! Una chiusura.

Da quel punto in poi l’articolo di Miller si fa meno chiaro. Mi aiuto con il testo di avvio ai lavori del Convegno che fa riferimento a un effetto dell’interpretazione che tocca il godimento, «perturbare l’economia pulsionale che alimenta la ripetizione del sintomo. E più in là, di arrivare a intaccare il reale del godimento che lo sostiene»[8].

Lo accosto alla testimonianza di S. Hommel di un momento della sua analisi con Lacan: «In una seduta, dico: “Mi sveglio tutte le mattine alle 5. È l’ora in cui la Gestapo cerca gli Ebrei nelle loro case…”. Lacan si alza, si precipita su di me e mi accarezza la guancia sinistra. E conclude la seduta. In un primo tempo ero sbalordita, turbata. In un secondo tempo ho decomposto la parola: geste-à-peau. In un terzo tempo, a posteriori, anni dopo, ho potuto misurare che cosa questo atto di interpretazione avesse trasformato in me»[9]. L’atto che fa Lacan, una carezza, un geste-à-peau traduce e riscrive qualcosa di traumatico, legato all’esperienza del nazismo e alle incursioni della Gestapo.

Ritorno al testo di Miller, forse mi si chiarisce un po’ di più cosa intende quando scrive «interpretare è decifrare. Ma decifrare è cifrare un’altra volta»[10]. Ecco l’effetto di apertura!

É. Laurent, nel testo L’interpretazione: dalla verità all’evento, riprende a sua volta Miller e mi aiuta nella lettura. Cito Laurent: «l’interpretazione che si confronta con il godimento mira, al contrario, a un non-rilancio»[11]. Il rovescio dell’interpretazione è arrivare al limite, all’a-semantico, allo sgonfiamento del senso.

Se qualcosa del godimento viene toccato, mi interrogo allora sulla natura degli atti compiuti dall’analista. Hanno forse a che vedere con la messa in campo di qualcosa del proprio corpo, con una presenza viva che risponde al reale?

[1] J.-A. Miller, Il rovescio dell’interpretazione, in La Psicoanalisi, n. 19, Astrolabio, Roma 1996, p. 122.
[2]  Ivi, p. 123.
[3]  Ibidem.
[4]  Ivi, p. 122.
[5] J.-A. Miller, Presentazione del n. 9 della Rivista di Psicoanalisi in Russia, in Rete Lacan, n. 34, disponibile su https://www.slp-cf.it/rete-lacan-n34-26-giugno-2021/
[6] J.-A. Miller, Il rovescio dell’interpretazione, in La Psicoanalisi, n. 19, op. cit., p. 122.
[7] Ivi, p. 123.
[8] https://xixconvegno2022.slp-cf.it/il-congresso/presentazione/
[9] S. Hommel, Una storia di famiglia al tempo del nazismo, in M.-H. Brousse (a cura di), Guerre senza limite, Rosenberg & Sellier, Torino 2017, pp. 77-78.
[10] J.-A. Miller, Il rovescio dell’interpretazione, in La Psicoanalisi, n. 19, op. cit., p. 123.
[11] É. Laurent L’interpretazione: dalla verità all’evento, in Rete Lacan, n. 40, disponibile su https://www.slp-cf.it/rete-lacan-40-10-febbraio-2022/#art_1