Partecipante SLP.

Sono partita dalla frase del Seminario XVIII “Per l’uomo, in questa relazione, la donna è per l’appunto l’ora della verità”[1]. Mi sono chiesta se sia possibile pensare alla donna come ad una “presenza interpretante”, in particolare nella relazione con un uomo. Il cuore del passaggio è nell’espressione “ora della verità”; per cogliere cosa intenda Lacan in quegli anni con il termine verità ho fatto un passo indietro, al Seminario XVII: la verità è definita come un enigma, si può dire solo a metà[2], non può dirsi tutta intera, al di là della sua metà non c’è niente da dire, il discorso si abolisce[3]. Tra il Seminario XVII e il Seminario XVIII in diversi passaggi si delineano i due versanti della verità, uno dicibile e uno indicibile, uno del sembiante e uno del reale; c’è inoltre una precisa articolazione tra verità e inesistenza del rapporto sessuale, sempre nel Seminario XVIII troviamo: “il rapporto sessuale fa difetto al campo della verità, in quanto il discorso che lo instaura non procede che dal sembiante – tracciando la strada solo a godimenti che fanno la parodia – è il termine giusto – del godimento che è effettivo, e però gli resta estraneo[4]”. Dunque, c’è un lato della verità che non si allinea al discorso che procede dal sembiante nella direzione della parodia del rapporto sessuale.  Lacan prosegue: “Non viene detto nient’altro, lì, se non ciò che vuol dire parlare: l’irrimediabile divisione tra il godimento e il sembiante. La verità è godere a far sembiante e non ammettere in nessun caso che la realtà di ognuna di queste due metà predomini se non affermandosi come appartenente all’altra, ossia mentendo a getti alterni. Tale è il semi-detto della verità”[5].

Ho letto così questo passaggio: la verità mente a getti alterni, mostra in alcuni momenti il godimento articolato al sembiante e in altri la loro disgiunzione. Direi che a partire dalla loro disgiunzione si apre il campo dell’altro godimento. I getti alterni di questa verità doppia, mai completa[6], ci rimandano all’oscillazione della posizione femminile tra centro e assenza, dove per quanto attiene alla funzione fallica “la donna vi si iscrive non tutta”[7] per cui il “Centro è la funzione fallica di cui partecipa singolarmente”[8] e “Assenza è ciò che le permette di lasciare ciò per cui non partecipa della funzione fallica nell’assenza”[9] o sparizione, di cui M. H. Brousse ha bene illustrato le diverse forme, nel testo Modo di godere al femminile [10]. Nel Seminario XX Lacan dirà: “c’è una sola maniera in cui si possa scrivere la donna senza dover barrare il la. È al livello in cui la donna è la verità. Ed è per questo che la si può dire solo a metà”[11]. Nell’incipit di Televisione Lacan accosta l’impossibilità del dire la verità tutta, al reale[12]. Miller ricorda che mentre “l’uomo è schiavo del sembiante di cui è supporto”[13] la donna è “più libera a questo riguardo” e “più vicina al reale, il che vale come «ora della verità»”[14] . Lacan, dunque, accomuna la donna alla verità non tutta, alla verità dalle due facce, una del sembiante e una del reale. Per capire come viene introdotta la frase sulla donna come ora della verità per un uomo, torniamo quindi al discorso che la precede. Sostiene Lacan “La demansione della verità supporta quella del sembiante”[15] dall’altro lato “Ciò che è reale è ciò che fa buco nel sembiante”[16]. Si arriva quindi al passaggio sulla donna come “ora della verità” di cui Lacan fornisce due letture.  La prima fa riferimento al fatto che la donna è nella posizione di rivelare l’equivalenza tra godimento e sembiante[17], come una denuncia: “uomo tu godi nel sembiante!”. Miller spiega che una vera donna costituisce un momento di verità per un uomo, mostrandogli il ridicolo dell’avere[18]. Una donna, afferma Lacan “è la presenza di quel qualcosa che sa” che c’è una verità di cui si ha orrore ed è ciò che di solito “viene impacchettato nel registro del complesso di castrazione”[19] . Qui si apre una parentesi. La castrazione è definita nel Seminario XVII a partire dalla privazione della donna come difetto del discorso[20], “privazione della donna in quanto si realizzerebbe in un significante congruo”[21]; la castrazione “È il rivestimento ordinato del fatto fondamentale che non vi è posto possibile in un’unione mitica che sarebbe definita come sessuale tra l’uomo e la donna”[22]. Insomma, una donna presenta all’uomo o è presenza per l’uomo di quel qualcosa di cui si ha orrore, la castrazione, che tuttavia resta enigmatica[23]. Allo stesso modo della verità, direi che anche la castrazione ha due facce, quella di impacchettamento, di “composizione tra sembiante e godimento” [24] per cui si “rende possibile nella forma della castrazione la faglia beante aperta in quello che tuttavia è biologicamente essenziale alla riproduzione di questi esseri viventi affinché la loro razza rimanga feconda”[25]  che è probabilmente da riferirsi a ciò che Miller sintetizza così “nel seno dell’impotenza godo”[26], e un’altra faccia, collegata al reale, che vede implicata la donna in modo particolare[27], quella di una struttura logica che non può essere ridotta all’aneddoto[28], che apre al non rapporto, ad un aldilà del sembiante, a partire dalla quale i termini “orrore della verità” ed “evitamento” suonano a tutt’altro livello.

Dunque, tornando al passaggio del Seminario XVIII sulla donna come “ora della verità”, in questa prima lettura di Lacan, la donna è in posizione di evidenziare contemporaneamente l’equivalenza tra il godimento e il sembiante e, di contro, segnalare cosa del godimento e del sembiante è disgiuntivo.

Quanto alla seconda lettura, vediamo proseguire Lacan in questo modo: “Ma che la donna sia la verità dell’uomo […] potrebbe anche voler dire qualcosa di ben diverso, ovvero che, per avere la verità di un uomo, è opportuno sapere qual è la sua donna […] Per pesare una persona non c’è niente di meglio che pesare la sua donna”[29]. Credo si possa leggere questo passaggio alla luce della posizione di oggetto a che assume una donna per il proprio uomo e che rivela, anche se grossolanamente, qualcosa del suo fantasma, del suo modo di godere e di desiderare.  Ci spostiamo dunque sui temi dell’oggetto a e del sembiante, che interessano, e per certi versi accomunano, la posizione di una donna a quella di un analista. Lacan nel Seminario XVII afferma: “è solo in quanto questo piccolo a si sostituisce alla donna, che l’uomo la desidera”[30]. Miller in Clinica della posizione femminile precisa: “La psicoanalisi si addice alle donne, perché come dispositivo e come discorso pone in questione i sembianti maschili, quelli della sublimazione, e fa sì che si torni a parlare del godimento. Inoltre gli si addice, perché alle donne si addice la posizione di oggetto a”[31]. Lacan nel Seminario XVII afferma: “È in quanto identico all’oggetto a, ovvero a ciò che per il soggetto si presenta come causa del desiderio, che lo psicoanalista si offre, come ciò a cui mira questa operazione insensata che è una psicoanalisi”[32]. Nel Seminario XIX la posizione di oggetto dell’analista è definita una posizione “di tutto riposo” poiché è quella del sembiante[33]. Lacan precisa che è dalla posizione del sembiante che l’analista entra nel discorso dell’analizzante, vedendosi “non già come causa bensì come effetto di quel discorso”[34], quell’effetto di scarto e abiezione che è l’oggetto a, “la merda che gli propone l’oggetto a nella figura del suo analista”[35].

A proposito del sapere dell’analista Lacan afferma: “Se la verità non può mai dirsi se non a metà, se sta qui il nocciolo, l’essenziale del sapere dell’analista, è perché al posto della verità sta S il sapere. Si tratta dunque di un sapere che a sua volta va sempre messo in discussione”[36].

In considerazione, dunque, della posizione di sembiante e del particolare rapporto con la verità che non può dirsi tutta, posizione femminile e posizione dell’analista si avvicinano.

A questo punto torno all’interrogativo di partenza: una donna può essere un’interpretazione per un uomo o funzionare da causa che muove un uomo ad interpretarsi?

L’interpretazione è spesso fatta di enigma[37] e Lacan ne parla così: “Resta tuttavia il fatto di avere illustrato l’ultima volta il nodo del semi-dire, indicando in che modo vada accentuato che quel che riguarda proprio l’interpretazione – ciò che ho articolato come enunciazione senza enunciato e come enunciato con riserva di enunciazione. Ho indicato che stanno lì i punti assiali, di equilibrio, gli assi di gravità propri dell’interpretazione, da cui il nostro progredire deve rinnovare profondamente quanto concerne la verità”[38].

Nel Seminario XVIII un passaggio sull’interpretazione rende ancora più chiaro il rapporto tra interpretazione, verità e sembiante: “L’interpretazione non viene messa alla prova di una verità che verrebbe decisa con un sì o con un no, essa scatena la verità in quanto tale. Essa è vera solo in quanto è veramente seguita […] Il momento in cui la verità si evidenzia con il suo semplice scatenamento, rispetto a quello di una logica che tenterà di dar corpo a questa verità, è precisamente il momento in cui il discorso, in quanto rappresentante della rappresentazione, viene respinto squalificato […] Il discorso non rappresenta più una rappresentazione, ma il seguito di discorso si caratterizza come effetto di verità. L’effetto di verità non è del sembiante”[39].

Abbiamo visto come una donna abbia un rapporto più libero con il sembiante, anzi, come denunci tutti i sembianti[40]. La donna è verità non tutta. D’altra parte, ella occupa per un uomo la posizione di sembiante.

In che modo si può dire che una donna è interpretazione per un uomo?

Da un lato, al fianco di un uomo, la sua stessa presenza è una presenza interpretante: Lacan suggerisce che per “pesare” un uomo basta vedere a quale donna si accompagna. Da un altro lato, una donna è come un “dito puntato” sulla castrazione, tramite il suo corpo e nei modi che ricorda Lacan nel Seminario XIX[41] una donna apre all’ indeterminazione e all’al di là del sembiante.

Lacan afferma: “C’è una sola cosa con cui non sa letteralmente che fare – per esempio quando è un uomo – ed è una donna. Non sa proprio che diamine farci, con una donna. Interrogatevi. C’è forse per un uomo qualcosa di più imbarazzante del corpo di una donna?”[42].

In Madre Donna Miller definisce una donna “l’Altro della castrazione reale”, “l’Altro che incarna la ferita della castrazione”[43].

Colpisce che nello stesso testo Miller, partendo dalla distinzione tra madre e donna, si ritrovi a parlare dell’analista e dell’interpretazione: “In analisi però, al posto dell’Altro della domanda è l’Altro dell’interpretazione che risponde. L’Altro dell’interpretazione non è una madre, ma qualcuno che non dà niente, qualcuno che non dà il suo amore, anche se lo si può credere poiché dà la sua presenza. L’analista dà almeno questo, la sua presenza, ed è ciò che conduce a supporre che goda di ciò che dice l’analizzante. L’altro dell’interpretazione dà l’interpretazione, che è altra cosa rispetto alla domanda. Forse ci sono soltanto due modalità di parola: la domanda e l’interpretazione. È veramente comico: il soggetto dice “chiedo aiuto, SOS”, e l’analista risponde “che cosa vuol dire SOS?”. Ecco il minimo grado dell’interpretazione: separare il significante dal significato”[44].

Concludo con un riferimento al grado minimo dell’interpretazione: la barra tra significante e significato. M. H. Brousse nel suo libro parla del godimento femminile come godimento della barra stessa: “Poniamo dunque l’ipotesi che questo godimento della sparizione […] è il godimento della barra stessa che affetta non il parlessere bensì il corpo parlante. Si tratta di farsi barra, di barrarsi”[45]. In questo godimento del farsi barra forse si può dire che una donna incarna questo “grado minimo dell’interpretazione” che, scombinando i sembianti e aprendo all’al di là del sembiante, può rappresentare qualcosa di enigmatico per un uomo, talvolta insopportabile[46].

[1]Lacan J., Il Seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante 1971, Einaudi, Torino 2010, p. 28.
[2] Lacan J., Il Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi 1969-1970, Einaudi, Torino 2001, p. 36.
[3] Ivi, p. 58.
[4]Lacan J., Il Seminario. Libro XVIII, cit., p. 139.
[5] Ivi, p. 141.
[6] “Sul piano della verità ciò vuol dire che la verità non può parlare se non affermandosi occasionalmente, com’ è capitato nel corso dei secoli, come doppia verità, ma mai come verità completa”, Lacan J., Il Seminario. Libro XIX.  …o peggio 1971-1972, Einaudi, Torino 2020, p. 172.
[7] Ivi, p. 98.
[8] Ivi, p. 117.
[9] Ibidem.
[10] Brousse M.- H., Modo di godere al femminile, Rosemberg e Sellier, Torino 2021.
[11] Lacan J., Il Seminario. Libro XX. Ancora 1972-1973, Einaudi, Torino 2011, p. 98.
[12] “Io dico sempre la verità: non tutta, perché a dirla tutta non ci si riesce. Dirla tutta è impossibile: mancano le parole. È proprio per questo è impossibile che la verità attiene al reale”, Lacan J., Televisione, in Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 505.
[13]Lacan J., Il Seminario. Libro XVIII, cit. p. 171.
[14] Ibidem.
[15]Lacan J., Il Seminario. Libro XVIII, cit., p.20.
[16] Ivi, p. 22.
[17] “Per l’uomo, in questa relazione, la donna è per l’appunto l’ora della verità. Rispetto al godimento sessuale, la donna è nella posizione di evidenziare l’equivalenza tra il godimento e il sembiante. Sta qui la distanza che separa l’uomo dalla donna. Se ho parlato di ora della verità è perché è quella a cui risponde tutta la formazione dell’uomo, mantenendo essa, costi quel che costi, lo statuto del suo sembiante. All’uomo risulta sicuramente più facile affrontare un qualunque nemico sul piano della rivalità che non affrontare la donna in quanto ella e il supporto di questa verità, il supporto di quanto c’è di sembiante nel rapporto tra l’uomo e la donna. In verità, il fatto che per l’uomo il sembiante sia qui il godimento indica a sufficienza che il godimento è sembiante […] Per contro, nessun altro sa meglio della donna, ed è in questo che è lei l’Altro, che cosa del godimento e del sembiante è disgiuntivo, perché ella è la presenza di quel qualcosa che sa e cioè che, se godimento e sembiante si equivalgono in una dimensione del discorso, sono tuttavia ben distinti nella prova che la donna rappresenta per l’uomo, prova della verità semplicemente, l’unica che possa dare il suo posto al sembiante in quanto tale. Bisogna dirlo, tutto ciò che c’è stato enunciato come il movente dell’inconscio non rappresenta nient’altro se non l’orrore di questa verità […] Non è particolarmente gradevole da udire, è ciò che di solito viene impacchettato nel registro del complesso di castrazione”, Ivi, p. 28.
[18] Miller J.-A., Clinica della posizione femminile, in Introduzione alla clinica lacaniana, Astrolabio, Roma 2012, p. 181.
[19]Lacan J., Il Seminario. Libro XVIII, cit., p. 29.
[20] Lacan J., Il Seminario. Libro XVII, cit., p. 192.
[21] Ibidem.
[22] Ivi, p.193.
[23] “un rapporto sessuale, così come si dà in qualunque realizzazione, si sostiene, si basa precisamente su quella composizione tra il godimento e il sembiante che si chiama castrazione. Nel discorso del nevrotico la vediamo risorgere a ogni istante, ma sotto forma di un timore, di un evitamento, ed è per questo che la castrazione resta enigmatica”, Lacan J., Il Seminario. Libro XVIII, cit., p. 156.
[24] Ibidem.
[25] Ivi, p. 157.
[26] “E ciò che Lacan chiamava “l’enigma della castrazione” è che, nel seno stesso dell’impotenza, godo”, Miller J.-A., Il vero, il falso e il resto, in La Psicoanalisi n. 49, gennaio-giugno 2011, p. 25.
[27] “è dal reale che la donna trae il suo rapporto con la castrazione”, Lacan J., Il Seminario. Libro XIX, cit., p. 42.
[28] Ivi, p. 36.
[29] Lacan J., Il Seminario. Libro XVIII, cit., p. 29.
[30]Lacan J., Il Seminario. Libro XVII, cit., p. 192.
[31] Miller J.-A., Clinica della posizione femminile, cit., p. 183.
[32] Lacan J., Il Seminario. Libro XVII, cit., p. 129.
[33] Lacan J., Il Seminario. Libro XIX, cit., p. 66.
[34] “Il sapere sulla verità è utile all’analista in quanto gli consente di ampliare un pò il suo rapporto con quegli effetti di soggetto di cui ho detto che li avalla lasciando campo libero al discorso dell’analizzante. Che l’analista comprenda questo discorso sembra in effetti preferibile. Ma da dove deve comprendere? La risposta si trova nella notazione in cui è indicato che nel discorso deve trovarsi a occupare la posizione del sembiante. Bisogna naturalmente sottolineare che è in quanto a che egli occupa questa posizione del sembiante. L’analista non può comprendere niente se non in ragione di quanto dice l’analizzante, ovvero a condizione di vedersi non già come causa bensì come effetto di quel discorso”, Ivi, p. 171.
[35] Ivi, p. 233.
[36] Ivi, p. 73.
[37] Lacan J., Il Seminario. Libro XVII, cit., p. 38.
[38] Ivi, p. 58.
[39] Lacan J., Il Seminario. Libro XVIII, cit., pp. 7-8.
[40] Miller in Clinica della posizione femminile afferma “Il vero in una donna, nel senso di Lacan, è che non rispetta niente e nessuno, denuncia i sembianti e anche il fallo come un sembiante nei confronti del godimento”, Miller J.-A., Clinica della posizione femminile, cit., p.182.
[41] “La donna ha bisogno almeno di questo, che sia possibile la castrazione. È il suo accesso all’uomo. Quanto a farla passare all’atto, tale castrazione, ci pensa lei […] a partire dal reale […]  le donne non sono castrabili. Perché il fallo […] ebbene loro non lo hanno. A partire dal momento in cui è per l’impossibile come causa che la donna non è legata essenzialmente alla castrazione, l’accesso alla donna diventa possibile nella sua indeterminazione”, Lacan J., Il Seminario. Libro XIX, cit., p. 41.
[42] Lacan. J., Il fenomeno lacaniano, in La Psicoanalisi n. 24, luglio-dicembre 1998, p. 17.
[43] Miller J.-A., Madre donna, in Madre donna, Atti del VI Convegno del Campo freudiano in Italia, Roma residenza di Ripetta 19-20 giugno 1993, Gisep, Roma 1994, p. 240.
[44] Ivi, p. 246.
[45] Brousse M.-H., Modo di godere al femminile, cit., p. 73.
[46] “Dato che con una vera donna nessuno può sposarsi, le si propone di essere monaca e pronunciare i voti perpetui di obbedienza, povertà e castità per i quali essa assume il non avere fondamentale, e che circoscrivono il godimento al di là del Padre. Così se nessun uomo può essere all’altezza di tale godimento, il compito di incaricarsene è lasciato a Dio”, Miller J.-A., Clinica della posizione femminile, cit., p.182.