Membro SLP e AMP.

Il tema del nostro Convegno nazionale ci convoca, facendoci appello a occuparci di un tema così analitico quanto complesso. Cosa può definire l’interpretazione analitica?

Per pensare all’interpretazione mi faccio aiutare da J.-A. Miller quando dice che non si può generalizzare, si interpreta uno per uno, UN analista con UN analizzante. Ma cosa c’è di universale nell’interpretazione analitica? Il contenuto, d’accordo con Miller, è puramente singolare, si riferisce al caso per caso, non si può estrapolare, ma la mira dell’interpretazione, credo di sì. Quindi, occorre mettere a fuoco ciò che essa cerca di circoscrivere, sfiorando un punto del soggetto che lo metta al lavoro, a volte stupendolo, altre volte irritandolo.

Esthela Solano ha di recente saputo esprimere con saggezza dei concetti pertinenti a questo argomento nel suo libro “Tre secondi con Lacan”. Vicente Palomera, in un prologo brillante, afferma che “l’interpretazione è un cammino che transita tra un dire su ciò che può leggersi dell’inconscio e una scrittura di ciò che non si lascia leggere, che Lacan chiamò «il reale»”[1]. Ciò che può leggersi dell’inconscio appartiene al discorso, di fatto sono spesso gli analizzanti a dare senso ai propri atti. Ma l’interpretazione analitica così come descritta precedentemente, passa da un dire a una scrittura di ciò che sfugge al dire. Si tratta di una riduzione (della cifra del dire) a una lettera, un significante, una frase talvolta, quindi di un lavoro di convergenza delle catene significanti per arrivare a un punto, un punto singolare del soggetto. Attorno a questo punto, a questo perno, paiono orbitare aspetti fantasmatici che l’interpretazione mette alla prova.

“Giocando con l’equivoco l’analista faceva risuonare altra cosa rispetto a ciò che si era detto nell’intensione di dire”[2], ancora la separazione del detto dall’intensione. E forse questo il proposito dell’interpretazione che può giocarsi sul piano dell’equivoco, del silenzio, del taglio, della parola, tutti strumenti dell’analista?

Ciò che però pare essere il fine dell’interpretazione analitica, al di là dello strumento usato dall’analista, è il suo rapporto col reale, registro cardine dell’insegnamento lacaniano. Un reale che gioca a nascondino nell’intensione del dire. L’analista non è quindi chiamato a interpretare sul versante del senso, nonostante soprattutto nei primi tempi di un’analisi sia indicato, ma su un versante molto meno palese, generalista. Puntare su un interpretare orientato dal reale significa rischiare, scommettere su un sapere che, nonostante possa destare un certo disorientamento sia da una che dall’altra parte, coglie qualcosa che il soggetto non può rifiutare. “La comunicazione di questo sapere […] ha come effetto quello di modificare il soggetto in corso di realizzazione”.[3]

[1] E. Solano Suarez, Tres segundos con Lacan, Gredos, Barcelona 2021, p.11.
[2] Idem, p. 21.
[3] J.-A. Miller, Teoria di Torino sul soggetto della Scuola, reperibile: https://www.slp-cf.it/teoria-torino-sul-soggetto-della-scuola/