Membro NLS, NEL e AMP.

Cari colleghi della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, grazie mille per l’invito.

La proposta di lavoro che mi avete fatto mi ha portato a conversare, interrogarmi, leggere, rileggere in relazione al tema Interpretazioni esemplari che hanno avuto effetti.

La frase che mi proponete di lavorare, «In altre parole ascoltare analiticamente la parola di un soggetto che soffre è scommettere sulla vita»[1], mi porta a riprendere la frase di orientamento di Lacan: «Nessuna analisi selvaggia; non usare parole che hanno senso solo per l’analista… Alla parola ‘parola’, ho sostituito la parola ‘significante’; e questo significa che si presta all’equivoco, ovvero a diverse significazioni possibili»[2].

Si tratta di trattare la sofferenza psichica attraverso la parola senza lasciarsi addormentare dalla situazione di estrema precarietà dei soggetti.

Per circa una ventina di anni ho accompagnato l’équipe di Uyarina, un’istituzione religiosa che durante la notte distribuiva latte a persone che vivevano per strada, in particolare a bambini e adolescenti. Alcuni si rivolgevano alla suora, ma senza volere del latte. A partire da questa situazione, ho chiesto loro perché non volevano del latte. Questa fu la risposta: «Vorremmo solo stringerle la mano e dirle buona notte mammina». Quindi cosa volevano? Si trattava di una domanda d’amore, di riconoscimento.

Una signora della “prima generazione dei bambini di strada” durante l’infanzia, in casa sua, subì violenza fisica e abuso sessuale da parte di suo padre. Inoltre, i genitori le imponevano di fare cose che lei non poteva fare, per esempio che andasse a lavorare, a vendere caramelle per mantenere la famiglia. Per lei questa situazione era insopportabile e decise di andare a vivere in strada come soluzione.

In strada conobbe la violenza generalizzata, si scontrò con la violenza istituzionale, l’arbitrarietà della polizia, le richieste della società, ecc. E, facendo riferimento al dolore che questa situazione le provocava, disse: «Non ho fiducia in niente», «quando era insopportabile, mi tagliavo le braccia».

Il suo incontro con i colleghi di Uyarina le ha permesso di concepire un altro tipo di istituzione, dove può manifestare il suo malessere.

Le sue parole: «Quando i miei figli mi esasperano li picchierei, non vorrei farlo, ma è più forte di me, so che non va bene picchiarli… Quindi vado a Uyarina a sfogarmi, grido, piango e torno tranquilla. Mi passa e così non picchio i miei figli. Per questo vengo, so che mi possono ascoltare».

Questo modo di “stare” nell’istituzione è ripetitivo e costante, non si va oltre, frequenta Uyarina per sfogarsi. L’istituzione è un luogo dove poter parlare della sua sofferenza. Questo la pacifica e le permette di ridurre la sua aggressività. C’è la scelta di andare a parlare di fronte all’impossibilità di trattare ciò che eccede e che non può simbolizzare; bisogna sottolineare che se questo è possibile è perché c’è qualcuno che ascolta quello che lei ha da dire.

Una bambina viene a lavare il suo grembiule perché vuole andare a scuola in modo presentabile, vuole imparare, ricorda che «vuole essere presentabile e apprendere a scuola», vuole avere un’altra relazione con gli altri, fare un altro legame con il sociale.

Queste tre situazioni mi portano, da una parte, a riflettere sugli effetti che hanno avuto per questi soggetti i diversi incontri, il trattamento a partire dalla parola, l’ascolto della soggettività del soggetto, prodotti; d’altro canto apprendiamo e condividiamo, nella città, la pertinenza del lavoro “caso per caso”, vale a dire del singolare, del diverso, effetto della trasmissione del discorso lacaniano.

Nell’apertura della sezione clinica nel 1977, Jacques Lacan ricordava «La clinica è il reale, in quanto impossibile da sopportare»[3]. È lo sforzo di trattare il reale a partire dalle parole, a partire dal simbolico[4], vale a dire trattare il godimento tramite la parola.

Così lo stesso Lacan afferma che «ogni formazione umana ha per essenza e non per accidente porre un freno al godimento»[5].

Ricordiamo che «L’interpretazione […] deve essere guidata dalla ricerca di un effetto di verità»[6].

Dopo aver realizzato questo breve percorso di un’esperienza di lavoro potremmo dire che «ascoltare analiticamente la parola di un soggetto che soffre è scommettere sulla vita» sia un’interpretazione?

[1] S. Guaraguara, Uyarina-Punto de encuentro 1, disponibile su https://archive9.pipol10.eu/2019/07/08/sofia-guaraguara-uyarina-punto-de-encuentro-1/?lang=es , [trad. nostra].
[2] J. Lacan, Conférences et entretiens dans des universités nord-américaines, Scilicet 6/7, París, Seuil 1976, p. 34 [trad. nostra].
[3]J. Lacan, Apertura della sezione clinica, in La psicoanalisi, n. 55, Astrolabio, Roma 2014, p. 15.
[4] Cfr. J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino 2003, p. 8.
[5] J. Lacan, Allocuzione sulle psicosi infantili, in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, pp. 359-360.
[6] É. Laurent, L’interpretazione: dalla verità all’evento, in Rete Lacan, n. 40, disponibile su https://www.slp-cf.it/rete-lacan-40-10-febbraio-2022/#art_1