Membro SLP e AMP, AME

Éric Laurent, in un suo testo, solleva la questione dell’interpretazione come evento, e come evento di corpo[1]. Questione già variamente sollevata anche da Jacques-Alain Miller, nel suo insegnamento relativo all’interpretazione.

Tale argomento può essere declinato in vari modi, uno dei quali passa, a mio parere, dalla punteggiatura detta, dal dire analizzante inframmezzato da sospiri, esclamazioni, intercalare, che il dire comune include nel tono della voce, nei tics delle scorie esclamative, ad esempio, mamma mia!, eh?.., no?..

Eppure, proprio in queste emissioni di voce o tono, capita spesso che risuoni un vuoto del corpo come cavità di voce silenziosa, cui si può prestare attenzione particolare, elevarla a dettaglio soggettivo in cui si ripete uno sbriciolamento particolarizzato di significanti fondamentali del soggetto.

Così come dice Jacques-Alain Miller, l’oggetto voce è l’unico a trovarsi al di là dell’oggetto a, spoglio del sembiante che tale oggetto riveste per Lacan[2]. Potremmo dire che abbia a che fare con un inconscio, come dice Miller, che vocifera, ma che il soggetto tenda a zittirla, questa vociferazione[3].

Ora, mi viene da pensare che l’interiezione asemantica ovvero compagna semi silenziosa del dire del soggetto, possa considerarsi forse un resto scampato al silenziamento dell’inconscio rispetto, appunto, alla voce.

Niente di esemplare, semmai di acefalo nel fare segno di eco nel corpo di un presentificarsi pulsionale. Come dice Lacan nel Seminario XXIII, “le pulsioni sono l’eco nel corpo del fatto che ci sia un dire”[4].

Così come l’interpunzione, i tagli, operati nella diacronia intervengono come scrittura nel dire analizzante, potremmo pensare ad elevare esemplarmente questi detriti interpuntivi della parola, che ne disturbano la fluidità diacronica, ivi inclusi i sospiri tra una parola e l’altra, in quanto vocío nascosto che si sparpaglia nelle frasi, le disturba silenziosamente, fa presente un’assenza.

Sorta di adulta lallazione, che i corsi di dizione normalmente mirano ad espungere, ma che invece possono, a mio parere, veicolare qualcosa di moterico nella materia del linguaggio. L’effetto di senso reale, di cui parla Lacan nel Seminario XXII, forse potrebbe passare da lì[5]?

Quando un “mamma mia..!” rafforza l’esclamazione di sorpresa per il sorgere di una significazione nuova con un’interpretazione, dobbiamo considerarla, come fa il dire comune, inessenziale all’espressione? No, non è raro che tale detrito esclamativo, per noi occidentali che non disponiamo delle risorse di un dire psalmodico, di una raffinata gamma di accenti, di percussioni cantilenanti in provenienza dalla muta presenza della voce nascosta nel corpo, può venire esemplarmente estratto, restituito a effetto particolare. Mamma mia! Capita, e non raramente, che tale esclamazione aggiri la  censura della rimozione e alluda equivocamente ad una posizione particolare del soggetto rispetto al desiderio della madre, proprio nel fratturare in un punto preciso il racconto, o la frase del soggetto.

Così, un “ahimé” che lascia irrompere lallativamente una forma giaculatoria della caduta di ogni illusione rispetto all’avere relativo al proprio io, trovatosi nelle mani buone o cattive o rassicurative, a parti rovesciate, dell’Altro.

Un “no?..” cantilenato con frequenza è sempre così scarto semantico o elemento preziosamente asemantico di un vibrare particolare del corpo in certi momenti, cruciali, dell’affiorare di un significante padrone, ovvero S1? Cui l’inconscio si oppone imponendone il rovescio?

Ed anche un “bah..!” di perplessità, quale perplessità veicola nel punto in cui emerge come giaculatoria della sillaba iniziale di una nominazione assillante, del nome di un Altro il cui incontro sia stato parte di un importante traumatismo che ha fatto buco di senso nel piegarsi del soggetto al suo dettato superegoico?

La cavità del corpo, modellata a mo’ di vaso heideggeriano e popolata successivamente dal gesto di Pandora di introdurvi l’inaspettato, risuona, e nei modi più inosservati, più impercepibili alla significazione. Una ragione in più per far vibrare all’unisono ascolto e corda tesa dell’inconscio vociferante, nei pezzi staccati dell’interiezione.

Diversamente detto da Roland Barthes, a proposito di come il corpo risuona dalla sua cavità, nell’esempio del cantore:
“qualcosa che è direttamente il corpo del cantore, portato con uno stesso movimento al vostro ascolto, dal fondo della cavità (…) come se una stessa pelle tappezzasse la carne interiore dell’esecutore (…) Questa voce non è personale: non esprime nulla del cantore (…) ci fa sentire un corpo che, certo, non ha uno stato civile, ‘personalità’, ma che è comunque un corpo separato (…) la ‘grana’ è questa materialità del corpo”[6]

Per tornare a noi, esempi ne avremmo ancora a volontà: così talora un’esclamazione di dolore come “ohi ohi..!” segnala il luogo puntiforme di una scampata, iterata affermazione, malmenata in passato, di un io ribadito doppiamente, in una gemellarità affascinata e respinta.

E gli effetti di questo grado zero, potrei dire, di quella giaculatoria su cui Éric Laurent argomenta così serratamente da andare a ricercarne gli esempi nel buddismo giapponese Chan, e che il mondo occidentale deve accontentarsi di sostituire con la cantilena, la musicalità che gli sia concessa dalla lalingua, o la famosa “Poordjelì”, come suggerisce Laurent, di Leclairiana memoria, che dirne?

Intanto, proporrei, l’interiezione o i borborigmi di cui sopra potrebbero occupare tale funzione, salvo che li troviamo all’entrata, e non all’uscita, di una sonorità che si aggancia all’inconscio. Sempreché un analista avvertito, che ne sia all’altezza, non solo della propria epoca, ma dell’epoca del tempo logico del soggetto, della messa in logica del punto in cui l’analizzante, anche lui, che sia tale, che sia all’altezza del suo compito, si trova rispetto al varco tra inconscio interpretante e inconscio reale.

Esemplare è allora forse questo, risiede qui, nell’abboccare dell’inconscio all’amo, sì, anche grazie al transfert, di un vuoto corporizzato che, proprio lì, fa evento.

Effetti? Verremo a saperne nella retroazione di un futuro anteriore, non siamo mai alla bonne heur, alla buon-ora dell’incontro con l’effetto!

[1] E. Laurent, L’interpretation événement, in La cause du desir, n.100, pp. 65-73
[2] J.-A. Miller in Tout le monde est fou, Corso del 2007/2008, lezione del 11.06.2008. Inedito
[3] Cfr., J.-A. Miller, Lacan et la voix, in Quarto 54, p. 33
[4] J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII. Il Sinthomo 1975-1976. Testo stabilito da Jacques- Alain Miller. Edizione italiana a cura di Antonio Di Ciaccia, Astrolabio, Roma, 2006, p. 16
[5] J.Lacan, “ L’effet de sens exigible du discours analytique (…) Il faut qu’il soit réel (…) La question se pose de savoir si l’effet de sens dans son réel tient à l’emploi des mots ou bien a leur jaculation”. In RSI, lezione dell’11.2.1975. Inedito
[6] R. Barthes, La grana della voce, in L’ovvio e l’ottuso, Einaudi, Torino 1985, p. 259