Membro SLP e AMP.

L’invito ricevuto mi ha messa al lavoro sulla questione interpretazione nella sua stretta relazione con la verità. Rileggere il seminario XVIII e anche quello precedente, il XVII, mi ha permesso di entrare un poco nella questione complessa della verità, per come Lacan ce la presenta nella sua parzialità e al contempo nella sua portata. La verità, cito Lacan a pagina 216 del Seminario Il rovescio della psicoanalisi, “si prova”[1].

Mi avvio dalla breve citazione che stimola questa nostra conversazione: “L’interpretazione è riuscita solo in quanto è veramente seguita”. Ve la ripropongo a partire da ciò che Lacan dice poco prima: “Come nel caso dell’oracolo, essa (l’interpretazione) è vera solo per il suo seguito. L’interpretazione non viene messa alla prova di una verità che verrebbe decisa con un sì o con un no, essa scatena la verità in quanto tale. Essa è vera solo in quanto è veramente seguita”[2]. L’interpretazione dunque scatena la verità, non la dice la fa sorgere, qualcosa si dice per il soggetto e dura il tempo che dura ma ha effetti. “La verità non è di facile accesso. Come certi uccelli, di cui mi parlavano quand’ero piccolo, che si prendono solo mettendo loro il sale sulla coda”[3]. Lacan ci parla in queste righe del seminario XVII di ciò che insegna quando elabora qualcosa della psicoanalisi, e cioè di qualcosa che potrebbe intitolarsi Storia di una metà di soggetto. Non si può dire tutto, come la verità stessa che si può dire solo a metà ma che, si scatena. La verità ha anche sempre a che fare con il non senso, Freud ce lo mostra benissimo con il motto di spirito, il witz è una parola senza capo né coda, non la si può prendere, non si può mettere il sale su una coda che non c’è. La stessa cosa possiamo dirla per la verità che ci dice Lacan “prende il volo. La verità prende il volo nel momento in cui non la si vuole più cogliere”[4].

Trovo prezioso che qui Lacan ritorni a Freud e all’Interpretazione dei sogni per farci intendere questo aspetto di non permanenza della verità e l’impossibilità di dirla tutta, di prenderla: un sogno sveglia proprio nel momento in cui potrebbe lasciarsi scappare la verità per Freud, Freud ce lo dice continuamente ci svegliamo per continuare a sognare nella realtà.

Ci si sveglia per continuare a dormire sulla verità, che può dirsi in una cura solo per via di ciò che un atto interpretativo perché di atto si tratta, può sollevare. L’interpretazione non ha senso, non punta a far sapere al soggetto una verità già scritta, ma ad eccitare qualcosa di una verità che lo concerne e che si dà nel legame.

Per provare a far cogliere ciò che intendo per interpretazione che tiene insieme questi aspetti e che ritengo possa dirsi esemplare, nel senso di ciò che fa testimonianza, che fa esempio di qualcosa, mi riferisco alla mia analisi. Diversi anni fa in un tempo della cura in cui l’analista teneva per me il posto dell’amore per mio padre mi accorgevo che ero inibita come altre volte capitava nella mia spinta a fare; quando la incontravo fuori dallo studio alle giornate di lavoro dell’Antenna clinica sentivo il suo sguardo enigmatico bussare dentro di me come accadeva in quegli incontri sporadici con un padre che aveva lasciato la famiglia e che incontravo formalmente e raramente per momenti di parola in rare cene impostate, in cui non mangiavo per avere più tempo di dire qualcosa, che in realtà non dicevo. Il transfert era illusoriamente troppo potente, se una persona mi domandava il nominativo di un analista pur sentendo la spinta a dare quello di chi incarnava per me l’analista, mi guardavo bene dal darne indicazione. Era solo la mia analista, ogni volta che la sentivo parlare in una giornata clinica mi chiedevo se quel caso ero io, era solo mio padre e nessuno poteva mettersi di mezzo perché stare male così mi rendeva unica per l’Altro del linguaggio amoroso. Ero dolorosamente al centro del legame amoroso.

Un giorno al termine della seduta l’analista enuncia: “Non si preoccupi così tanto…le assicuro che paziente e analista non possono sposarsi, non si può fare”. Questa frase senza senso risuona dopo alcuni minuti appena uscita dallo studio come una verità indicibile e innovatrice. L’interpretazione che ha effetti certamente scatena la verità ma al contempo per me apre, buca le significazioni fisse del fantasma e lo fa vacillare senza farlo fuori. Vacilla ciò che può vacillare e per il tempo che il soggetto può sostenere. Sentii aprirsi in me una tranquillità nuova, cominciai a dare il nominativo della mia analista ad altri, cominciai a pensare che mio padre andando via di casa lasciò anche mio fratello e mia madre, cominciai a sentire un’apertura alla vita sapendo che cercavo sempre mio padre nell’incontro con l’Altro ma anche che non potevo farne la mia tragedia ancora a lungo. Coglievo il godimento di questa fissazione al padre, e nei lapsus mi accorgevo che identificarmi a lui era il modo di amarlo più riuscito e mortifero che potevo realizzare. Quando Lacan ci dice che la verità è sorella di godimento, ci ricorda che sorge lì vicino…che sorge intorno alla questione della morte. Cito Lacan, pagina 216 sempre seminario XVII: “La verità fa sorgere questo significante: la morte. E anzi, se vi è qualcosa che apparentemente dà tutto un altro senso a ciò che ha affermato Hegel è proprio quel che Freud aveva nondimeno scoperto a quell’epoca e che ha qualificato a suo modo come istinto di morte, vale a dire il carattere radicale della ripetizione, di quella ripetizione che insiste e caratterizza come niente altro la realtà psichica dell’essere inscritto nel linguaggio. Il fatto è che forse la verità non ha un altro volto. Del che non si può certo andare pazzi”[5].

Poco dopo Lacan ci dice che la verità di volti ne ha più di uno…ma che si tratta come analisti di non impazzire tutto a un tratto per una verità, per il primo musetto incontrato all’angolo della strada.

La verità di cui vi parlavo nel mio caso si è scatenata nella sua parzialità ed è ciò che ne è seguito che la rende preziosa, è la spinta a una cura non più solo terapeutica. Quella verità ha cominciato a coltivare un desiderio dell’analista che mi portava via dalla tragedia personale pur sapendo che nella vita mi si sarebbe sempre ripresentato quel punto: uno sguardo amoroso che vorrei solo per me.

[1] J. Lacan, Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2001, p. 216.
[2] J. Lacan, Il seminario. Libro XVIII. Di un discorso che non sarebbe del sembiante, Einaudi, Torino 2010, p. 7.
[3] J. Lacan, Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi, cit., p. 63.
[4] Ivi, p. 65.
[5] Ivi, p. 216.