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Jacques Lacan nel Seminario XVII rivoluziona gli assi dell’interpretazione mostrando che il funzionamento dell’inconscio, con l’S1 in posizione di agente, appaiato all’S2 nel posto dell’Altro, è quell’apparecchio significante, che si autointerpreta in automatico, otturando la verità del soggetto e producendo, nel posto della perdita, un resto di godimento.

La rivoluzione è grazie al discorso dell’analista che sovverte tale funzionamento, affinché il discorso dell’inconscio possa essere rovesciato nella sua stoffa interna, andando così a puntare al godimento che causa la ripetizione stessa.

Jaques-Alain Miller riprende questo punto nel suo testo – Il rovescio dell’interpretazione – avvertendo che, se l’analista interpreta sul medesimo versante dell’inconscio, ovvero assecondando la produzione di senso che l’inconscio stesso produce, “rimane al servizio del principio del piacere”[1]. Per questo Miller, nello stesso testo, sembra affiancare alla parola interpretazione, altre definizioni sostitutive, come rovescio e decifrazione, meno fuorvianti per rapporto al lavoro di analisi. Inoltre ribadisce che, se da una parte occorre puntare al sintomo, ma a partire dal fantasma, “allo stesso modo bisogna abbandonare la nevrosi per la psicosi, pensare la nevrosi a partire dalla psicosi”[2].

Si può prendere la psicosi come struttura della nevrosi a partire da quel fattore originario, l’S1 isolato dalla catena significante. Il significante nella sua definizione più generale si definisce come qualcosa che è in attesa di significazione, in attesa che un altro significante venga a darne una significazione. Tale significazione gli permette di uscire dallo statuto di enigma, in cui quel significante non significherebbe nulla, il cui esempio lo si può trovare nel rapporto “originario della relazione del soggetto con lalingua”[3]. Prendere l’S1 come separato dagli altri significanti, come cifra, è il punto di partenza comune tra le due strutture, nevrosi e psicosi, in prossimità di quel punto logico che Lacan ha chiamato: “l’insondabile decisione dell’essere”[4].

Miller porta un esempio di significante isolato nel fenomeno elementare, come quel significante in attesa che un altro significante lo interpreti e che collocandosi al suo fianco faccia risultare quell’operazione di senso chiamata “delirio di interpretazione”[5].

Da ciò se ne deduce che se l’analista interpreta per questa via, apportando dell’S2, del senso, si arriverebbe a paragonare l’interpretazione stessa dell’analista, a un delirio. Al contrario, se l’interpretazione vien presa nel suo rovescio, consisterebbe allora in una manovra che punta al “non aggiungere un S2, ma nell’isolare un S1 – vale a dire nel ricondurre il soggetto ai significanti propriamente elementari sui quali nella sua nevrosi, ha delirato […] isolare il significante in quanto fenomeno elementare del soggetto, non ancora articolato nella formazione dell’inconscio che gli dà questo senso di delirio”[6].

Porre l’analista nel luogo del sembiante, nel punto dell’inconsistenza dell’Altro che non esiste fa passare dalla clinica binaria della diagnosi nevrosi/psicosi alla clinica universale del delirio generalizzato, che Miller, riprende dal “tutti sono folli, ossia deliranti”[7] di Lacan.

Ecco che a patire da questa lettura si mette ulteriormente in luce come per ogni soggetto indipendentemente dalla struttura, che si parli di fenomeni elementari legati al delirio come tentativo di guarigione o di fenomeni dell’inconscio a partire dalla catena significante, l’apporto di senso al significante unario, diventa ciò che Miller, nel testo  – Clinica ironica – pone all’origine della clinica universale del delirio ossia il fatto che “tutti i nostri discorsi non sono che difese contro il reale” [8].

L’analista di fronte alla clinica universale del delirio generalizzato, possiede lo strumento preciso dell’interpretazione che punta su quell’S1 isolato.

Uno strumento a due punte intercambiabili capace di intervenire come punteggiatura qualora “l’S2 viene a punteggiare dove c’è un’elaborazione, delirio al servizio del Nome-del-Padre – oppure come taglio tra S1 e S2, qualora ci sia da portare – […] il soggetto all’opacità del proprio godimento”[9].

[1] J.-A. Miller, “Il rovescio dell’interpretazione”, in La Psicoanalisi, n°19, Astrolabio, Roma, 1996, pp.125-127.
[2] Ivi, p. 124.
[3] Ibidem.
[4] J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Scritti, vol. 1, Einaudi, Torino, 1974, p. 171.
[5] J.-A. Miller, “Il rovescio dell’interpretazione”, in La Psicoanalisi, n°19, cit., p. 125.
[6] Ibidem.
[7] J. Lacan, “Lacan puor Vincennes!”, in La Psicoanalisi, n°62, Astrolabio, Roma, 2017, p. 9.
[8] J.-A. Miller, “Clinica ironica”, in I paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma, 2001, p. 210.
[9] J.-A. Miller, “Il rovescio dell’interpretazione”, in La Psicoanalisi, n°19, cit., p. 127.